Degustazione fatta il 27 Ottobre 2008.
Confesso che il mio carattere da enocentrico mi porta a trovarmi un po’ spaesato di fronte a manifestazioni “culinarie” come quella del Salone del Gusto. Quindi il motivo che mi ha spinto a raggiungere Torino è stata una degustazione speciale dei vini prodotti dall’Union des Gens de Métiers.
Speciale non deve far capire che l’occasione fu soltanto ghiotta perchè si poteva degustare un’edizione limitata di un Selosse, oppure un Sauvignon mondiale come quello prodotto da Didier Dagueneau, ma che si poteva cercare a fondo riguardo ad una filosofia unica, che porta ad unire 22 produttori delle più disparate AOC francesi e dove a questi si sono aggiunti due vignerons, a portare decoro italico, come Paolo De Marchi di Isole&Olena e Aldo Vajra di Barolo.
L’Union des Gens de Métiers è un’associazione libera e che non ha un proprio statuto. Le uniche regole sono soltanto quelle dettate a portare ad avere un sincero e radicato rapporto, prima con la vigna, poi per il vino. In sintesi di questo, mi ha colpito un passaggio che sentirete presto anche voi in uno dei prossimi video e dove si diceva: “Ho iniziato a fare vino un po’ per caso ed in questo cercavo di farlo il più naturale possibile. Con il passare degli anni è anche cresciuta l’esperienza, ma mi rendo conto che oggi, il mio modo di fare il vino, non è poi così tanto diverso da come lo facevo agli inizi”. Ecco, questo è lo spirito racchiuso in un atipico e prezioso concetto, ovvero la naturalità. Atipico perchè non è poi così facile trovarla oggi, pur avendo una percentuale altissima di produttori che si dichiarano tali. Ma questo non è nel DNA dei nostri amici dell’Union des Gens de Métiers, perchè loro adottano un principio biologico in ogni loro gesto giornaliero, che si può metterlo in pratica nell’accudire una vigna oppure nella vinificazione di un’uva. Molti poi sono quelli andati oltre a questo nell’abbracciare il concetto più evoluto della biodinamica, ma qualunque esso sia, non viene pubblicizzato per sfondare in un certo tipo di mercato ma perchè a loro viene ritenuto come un comportamento naturale. Allora perchè girare per manifestazioni e “pubblicizzare” i loro vini? Da quello che abbiamo potuto raccogliere durante la degustazione prima e dalla gradevolissima cena in loro compagnia poi, credo che sia un loro modo di trovare una scusa per potersi incontrare, scambiare esperienze ed opinioni, invitare a cena i propri amici e divertirsi con loro. E ovvio poi che questi inviti vadano ricambiati, ecco quindi che ora che si gira da tutti…
Colgo l’occasione per ringraziare il nostro referente di questa occasione che ci ha permesso di partecipare all’evento e di coordinare ciò che era possibile per organizzare delle piccole interviste ai principali interpreti e cioè il grande Aldo Vajra, nonchè per l’ospitalità, insieme alla sua sublime moglie Milena, della graditissima cena post evento al Vintage 1997 di Torino.
Chi conosce questo ristorante ci giustificherà il fatto che la luminosità dei video risulti un po’ limitata, agli altri non ci resta che chiedere scusa e augurarvi comunque, una buona visione!
Tutte le associazioni hanno nel loro interno una “reginetta”. In questo caso è Yvonne Hegoburu e produttrice gioiello nel Jurançon. Magari a molti di voi il suo nome non dirà niente ma il suo viso sì. Ve la ricordate? E’ stata una delle protagoniste involontarie del film Mondovino. Infatti, nel piccolo fuori onda iniziale, i suoi “colleghi” ci scherzano su’….
I Video della VG-TV. Domaine de Souch.
Se non riuscite a visualizzare il filmato, cliccate qui.
Unico rimpianto per noi è stato quello di non aver avuto la possibilità di assaggiare i suoi vini.
Gli altri video, con i protagonisti presenti, anticiperanno il vino nella descrizione. Perciò proseguiamo con il racconto.
Un palco di comando decisamente all’altezza…
così come il pubblico armato di bicchieri e stilografiche, in trincea…
E’ giunta l’ora di passare ora alla descrizione dei vini con le relative note di degustazione.
Bicchiereeeee!
Champagne Extra Brut Blanc des Blancs Selosse 1999
Giudizio EC : 17/20.
Anselme Selosse è considerato da molti amateurs come IL Vigneron della Champagne. I suoi prodotti sono da sempre oggetto di attenzione da parte dei suoi fans, a volte arrivando al limite del morboso facendo i dovuti salti mortali pur di impossessarsi di quelle poche bottiglie che raggiungono il mercato italiano. I motivi di questo è facile intuirlo, i suoi vini (chiamarli Champagnes è limitativo…) non è che siano meglio di tanti altri, ma sono “diversi”. Prima di tutto per l’applicazione che Anselme ci mette nella lavorazione dei vigneti coltivati, ça va sans dire, in biodinamica. La raccolta, a differenza degli altri, viene fatta a maturità completa e questo spesso viene sottolineato dal sottoscritto, come una traduzione di vini che molte volte presentano i suoi limiti nell’apporto acido dei vini e qualche volta capita di imbattersi in vini buoni, anche grandi, ma un po’ seduti, a questo a volte vengono aggiunte alcune sfumature impegnative vista la completa vinificazione della prima fermentazione in legno. Così come mi è già capitato di trovare delle discordanze tra una bottiglia e l’altra anche a parità di sboccatura. A questo grattacapo non ho mai trovato una risposta ma ho sempre dato una giustificazione visto che riguarda dei prodotti come fossero “fatti a mano” e quindi perdonabili se si incontrano dei diffettucci. Ma ciò non toglie che la principale caratteristica della qualità derivi appunto dall’origine dele uve. Lo Chardonnay raccolto in vigneti posizionati sulle migliori parcelle di Avize, Cramant e Oger, mentre il Pinot Nero arriva da Aÿ.
Ci viene raccontato dal portavoce presente, responsabile della Moon Import azienda importatrice in Italia dei vini di Selosse, che la Cuvée presentata non si trova in commercio ed il suo “smercio” è dedicato solo agli amici. Nel nostro bicchiere si presenta con il giallo paglierino luminoso, brillante di forte tonalità con le bollicine che in maniera molto timida fanno fatica a fare capolino. Ma gli aficionados di Selosse non danno mai peso a questo fattore. Fattore che viene dedicato tutto per il naso, con quelle note esotiche, calde, mature e speziate con note di Curry e Zafferano. In bocca è denso, cremoso. Manca un po’ di carattere e di verve, per via dell’annata che non sarà ricordata in Champagne tra le più grandi.
Pouilly-Fumé Pur Sang Didier Dagueneau 2006
Giudizio EC : 17,5/20.
In sala, il vino è stato assaggiato in maniera quasi silenziosa, con una sorta di venerazione e di dedizione rispettosa verso l’uomo Didier Dagueneau, scomparso lo scorso settembre in un incidente aereo. Didier era considerato il maestro del vitigno Sauvignon, riuscendo a dare ai suoi vini uno stile diverso da quello che veniva interpretato fino ad allora con vini verdi, crudi, taglienti e perdonatemi il termine “pisciosi”. Mettete insieme i terreni più vocati di Saint-Andelain in una delle zone più prestigiose dell’AOC Pouilly-Fumé, coltivateli in biodinamica, vendemmiate le uve solo a maturazione completa, vinificatele in fusti con soste prolungate “sur lies” a contatto dei propri sedimenti ecco che avrete i risultati raggiunti da Dagueneau. Vini complessi, pieni, dotati di spessore che poggiano su delle basi di acidità integranti e non snervanti. Nasi ricchi, voluminosi ma dotati di grande eleganza, caldi, maturi sviluppati ma non invecchiati, potenzialmente ancora bisognosi sempre di un adeguato soggiorno in bottiglia una volta che raggiungeranno le vostre cantine, sempre se siate tra i fortunati a mettere le mani sui quantitativi esigui prodotti.
In linea con lo stile aziendale è questo Pur Sang 2006, frutto di una bellissima annata che ha dato dei vini dotati di peso e di buone freschezze, il Pur Sang è tra i prodotti di Dagueneau considerato, dopo il suo prodotto di “base” ovvero quello che veniva chiamato fino a poco tempo fa con il nome di En Chailloux, quello più “immediato”. Il Pur Sang possiede delle sfumature più dolci, più soavi e meno prorompenti rispetto agli altri cru del Domaine. Un vino raffinato, un naso da ricercare a fondo, non facile da comprendere da chi spesso opta a dei Sauvignon più standardizzati che si trovano in Cuvée prestigiose della stessa zona oppure di altre, comprese quelle provenienti dalla Nuova Zelanda.
Prima del prossimo vino, abbiamo un supporto video che vede come protagonista principale, il suo autore, ovvero Marc Kreydenweiss. Ci racconterà della sua azienda, del suo modo di vedere il vino e cosa vuole comunicare attraverso di esso.
I Video della VG-TV – Domaine Kreydenweiss.
Se non riuscite a visualizzare il video, cliccate qui.
Alsace Riesling Grand cru Kastelberg D.ne Kreydenweiss 2005
Giudizio EC : 16,5?/20.
Marc Kreydenweiss, come ci è stato raccontato nel video da lui stesso, è uno dei pionieri della biodinamica in Francia. Produttore alsaziano tra i più atipici, principalmente con Riesling dotati di nasi sinceri, schietti e con una mineralità particolare quasi “sapida” e non esplosiva come si trova altrove. Un’altra inconsuetudine è data da quel gusto che gioca spesso più sul secco e quindi la quasi totale assenza di zuccheri residui rende spesso complicato il fatto di “digerire” le sue acidità. Andlau è una perla alsaziana che si trova nella zona chiamata Basso Reno, offre vini lineari, eleganti e fini ma non regala quella pienezza, quel grasso, quello spessore che potete per esempio nei Grand cru dell’Alto Reno, per esempio a Bergheim. Ma quello che non si può di certo rimproverare ai vini prodotti da Marc è la loro personalità e soprattuto quella comunicata attraverso questo Kastelberg, il più espressivo dei vini di questo Domaine. La 2005 è una delle migliori annate degli ultimi tempi sottolineata dalla pienezza e dalla forza del vino. Il punto interrogativo sottolinea le difficoltà di interpretazione a questo stadio dell’evoluzione ma anche per un suo probabile, ed auspicabile, miglioramento e rivalutazione tra qualche anno, dopo un buon soggiorno in bottiglia.
Beaujolais V. V. Cuvée Traditionelle D.ne du Vissoux 2007
Giudizio EC : 16/20.
Il Beaujolais non è soltanto quel vino che è diventato famoso nel mondo con il suffisso di “nouveau” e che invade i mercati mondiali ogni mese di novembre, con la produzione dell’annata nuova. Ma Beaujolais vuol dire anche espressioni stilistiche, del vitigno Gamay, degne di nota e tra questi, il Domaine du Vissoux, è decisamente una delle sue migliori interpretazioni. Ci vuol poco a capirlo da come si presenta già nel bicchiere con un’espressività coinvolgente ed ammaliante. Niente di scatenante intendiamoci, ma una maniera di porsi con modi quasi di un Beaujolais d’antan, un po’ rugosi, spigoli accentuati anche nell’incisività del suo frutto concentrato però aiutato nella sua articolazione e dinamicità per il suo finale con quel taglio speziato dolce. Al palato è avvolgente ma non profondo, di buona lunghezza, agevolata da un tannino morbido e ben fuso.
Facciamo un break e nel frattempo, proviamo dare anche una sbirciata dietro le quinte, per vedere cosa succede…
“Dalla serie non capita tutti i giorni di bere Selosse”!
Riprendiamo con la nostra degustazione…
Côtes de Bourg Le Chevalier Château Falfas 2005
Giudizio EC : 16+/20.
I venti ettari di questa tenuta sono piantati a merlot in primis, cabernet e malbec, su suolo argilloso-calcareo, coltivati dal 1988 in regime bio-dinamico e situati nella piccola zona della Côtes de Bourg, sulla riva destra della Gironda, proprio di fronte a Margaux. Sotto la guida di John e Veronique Cochran, vengono prodotti tre vini. Quello in degustazione era il Le Chevalier, ottenuto da una selezione rigorosa delle migliori uve provenienti dai vigneti aziendali più vecchi, che arrivano a spuntare una media di 75 anni di età e dopo 18 mesi di affinamento in barriques nuove. John et Véronique Cochran
Devo confessare che la bontà dell’annata ha inciso in maniera preponderante sulla riuscita di un vino e che richiederebbe ancora qualche anno ancora di affinamento in bottiglia. Lo si nota nel colore, nella profondità delle tonalità, nelle movenze di come danza durante l’agitazione del bicchiere, nel frutto concentrato ma non volgare e di buona articolazione aromatica. Ma in tutta sincerità il solo affinamento in legni nuovi incide anch’esso in maniera altrettanto marcata, accentuanto anche le varianti dolci che si protraggono nella persistenza olfattiva. Un vero peccato perchè lo spessore che si rivela in bocca è dotato di un buon equilibrio, supportato da una degna vena acida ed una trama tannica di rilievo ma non asciugante. Buona l’eleganza in chiusura che spunta un “+” nella valutazione, ma che per i motivi citati sopra poteva raggiungere qualcosina in più.
Altro supporto video in sostegno della descrizione del prossimo video che vede come protagonista una giovanissima autrice. Il suo nome, Amandine classe 1987, forse non dirà niente ai più, ma il suo cognome, Delbeck, sicuramente sì. Ci racconterà della sua azienda, del suo modo di vedere il vino e, suvvia, possiamo anche perdonargli la timidezza dimostrata davanti alle nostre telecamere…
I Video della VG-TV – Château Ame de Musset.
Se non riuscite a visualizzare il video, cliccate qui.
Château Ame de Musset Lalande de Pomerol 2005
Giudizio EC : 16/20.
Nessuno può mettere in discussione le qualità enoiche di un personaggio come Pascal Delbeck, acquisite durante il suo periodo di “regime” al comando nella conduzione del prestigioso Château Ausone. Pascal è un antesignano di alcune pratiche “moderne” e che oggi possiamo trovare nel carnet di molti enologi bordolesi e non.
Certo Ame de Musset non è Ausone e non ne possiede nemmeno la storia, anche perchè in degustazione abbiamo un’anteprima, ovvero la prima annata di produzione. Maestrìa di vinificazione al servizio di un vino che se fosse un sito internet, porterebbe la scritta “sito in costruzione”. Il vino è tecnicamente ben fatto, troviamo equilibrio, integrità del frutto, articolazione sia in fase aromatica che in quella degustativa, così come è apprezzabile il ricamo tannico “su misura” di buona finezza. Addizioniamo la generosità targata 2005 e sottraiamo l’esiguità della struttura. Anche perchè quì ci troviamo nell’AOC Lalande de Pomerol che, per la natura dei suoi terreni, possiamo tirar fuori dei buoni vini ma che difficilmente raggiungono le vette qualitative proprie di altre zone bordolesi. Da seguire…
Coteaux de Languedoc Pic Saint Loup Simon Clos Marie 2004
Giudizio EC : 16,5/20.
Se dovessimo mettere una linea che evidenzi lo stacco sostanziale dei vini rossi degustati, direi che possiamo sistemarla quì e cominciare un nuovo racconto, anche più originale e che vede come primo protagonista un vino della piccola AOC Coteaux de Languedoc Pic Saint Loup, situata nel sud della Francia, a nord di Montpellier e che trova una propria espressione nella sapidità dei vini, quasi che la vicinanza dal mediterraneo, svolgesse un suo ruolo preciso.
Nel caso del Simon prodotto dall’azienda Clos Marie, la metamorfosi ottenuta da vitigni come la Syrah, la Grenache e la Mourvèdre e la principale causa. Non solo sul piano della struttura, che decide lo stacco parlato in precedenza, ma della profondità, della vivacità espressiva che rende particolarmente semplice la sua incisione nella nostra memoria. Inutile sottolineare che anche nel caso dell’azienda Clos Marie, i vigneti vengono coltivati in maniera biodinamica, precisa e maniacale dal suo proprietario Christophe Peyrus. Quello che abbiamo nel bicchiere è un esempio non solo di struttura ma anche di finezza ed eleganza. Al naso mostra una chiara e precisa sfumatura minerale e balsamica che rinfresca molto la sua apprezzabilità olfattiva. La sua distensione al palato avviene in maniera avvolgente e decisa, favorita dalla impetuosità della sua acidità e dalla foga della trama tannica.
Supporto video per anticipare il prossimo vino. E’ il turno di un uomo che è entrato di diritto nei miti dell’enologia francese: Eloi Dürrbach. Sentiamolo…
I Video della VG-TV – Domaine de Trévallon.
Se non riuscite a visualizzare il video, cliccate qui.
Vin de Pays des Bouches du Rhone Domaine de Trévallon 2001
Giudizio EC : 18+/20.
Ho scomodato il termine “miti”, in quanto Eloi Dürrbach lo è diventato ed in Francia è risaputo del suo amore verso una terra particolare, collocata al centro delle Alpille e del suo rapporto passionale per il suo terroir, mantenendo un profondo rispetto per la naturalità della sua coltivazione e per il “trattamento” dei suo frutti.
C’è un filo conduttore che mi lega a questo vino. Anzi due. Il primo è che Eloi ha piantato la sua prima vigna a Trévallon nell’anno della mia nascita, nel 1973. Il secondo è che è stato il mio primo vino assaggiato, quando iniziai a scoprire che la Francia non era solo Champagne, Alsazia, Borgogna e Bordeaux e devo confessare che ti si apre un mondo davanti a te, quando senti parlare di vini naturali. All’epoca veniva imbottigliato sotto l’AOC Coteaux des Baux en Provence. Ma la sua proporzione fatta per metà da Cabernet Sauvignon e metà Syrah, l’ha portato (a dire la verità è stato forzato…) ad abbandonare l’AOC e cadere nella denominazione Vin de Pays, facendogli sapere, tramite le istituzioni, che una percentuale di Cabernet così alto non rispecchiava la tipicità del territorio. Non sono bastati i suoi tentativi di far capire a questi signori che il Cabernet è sempre stato parte integrante del suo territorio, già dal periodo pre-fillossera, anche grazie a documenti che l’accertavano. Noi, istituzioni o no, siamo contenti lo stesso di stringere tra le mani un bicchiere che attesta a pieno diritto che Trévallon è uno dei migliori vini di Francia, perchè con la sua personalità non ha bisogno di esprimere l’origine del carattere varietale di uno dei vitigni più usati al mondo, ma perchè è in grado di comunicare l’originalità e l’unicità del luogo dove nasce. Proprio come vuole il suo patron. Unico neo è il carattere un po’ mite dato dall’annata 2001, buona ma non in grado di portarlo nel palmares delle migliori di questa tenuta.
Supporto video conclusivo per anticipare l’ultimo vino rosso in degustazione. Questa volta il protagonista è Alain Graillot, che ci spiega su come gli sia arrivata la vocazione da vigneron e la sua filosofia produttiva.
I Video della VG-TV – Domaine Alain Graillot.
Se non riuscite a visualizzare il video, cliccate qui.
Crozes-Hermitage D.ne Alian Graillot La Guiraude 2005
Giudizio EC : 17,5+/20.
Parliamo ancora di Syrah, ma questa volta lo facciamo con un atteggiamento più marcato visto che parliamo di un Crozes-Hermitage.
Appellation che si trova nella Valle del Rodano meridionale e che si sviluppa intorno alla cittadina di Tain. All’interno di essa si trova la ben più prestigiosa AOC Hermitage che, in relazione a questo vitigno, regala vini più profondi e più consistenti. Pur possedendo dei terreni che per loro natura si dimostrano più variabili, anche da Crozes-Hermitage derivano prodotti di rilievo e dove si possono fare delle belle scoperte, soprattutto per chi non ha sempre voglia di imbattersi in vini che non arrivano mai al loro apice, come nel caso dei prestigiosi cugini, se non dopo 20 anni o forse più, oppure che sono alla ricerca di vini più spensierati, comunque validi, e che sia soddisfacenti nell’immediato. Se poi ci si ritrova tra le mani un’uva straordinaria come quella raccolta in un’ottima annata come la 2005 e sapientemente vinificata da un maestro come Alain Graillot, che ci tiene a precisare che lui cerca di manipolarla e modificarla il meno possibile in fase di vinificazione, portando in bottiglia ciò che il buon Dio ha voluto in quell’annata, con i suoi pregi ed i suoi diffetti rispecchiandone il valore originale dell’uva. Un vino scuro, profondo ed opaco ma pronto ad illuminarsi premendo sull’interruttore quando viene fatto roteare nel bicchiere. Così come sembra accendersi la ventilazione quando scoviamo in cerca delle sue sfumature aromatiche. Senti che il vino è ottimo ma non eccellente, ma è difficile non innamorarsene e vorresti portartelo dietro e farlo assaggiare a tutti i tuoi amici che bevono normalmente Shiraz di esotica provenienza e che non si rendono conto che nel loro bicchiere non hanno un vino ma un “succo di frutta” o peggio ancora una “confettura”! Ma la nostra voglia è subito frenata dal fatto che ti rendi conto che spesso le versioni più sincere e naturali della Syrah sono spesso produzioni in piccola scala e che mai non potrebbero competere con le valanghe di bottiglie prodotte al di fuori dell’hexagone. Al palato si intuisce il potenziale che nutre questo vino per lo spessore con una spina dorsale di una bellissima freschezza ed il suo tannino che mordicchia senza risultare fastidioso. Grande pulizia di esecuzione nella retro-olfattiva.
Meursault Premier cru Les Tillets Roulot 2006
Giudizio EC : 17+/20.
Singolare la volontà di voler servire un bianco alla fine. Capiamo che è un Meursault di “peso” e di grande annata, ma venire dopo un Trévallon ed un Crozes-Hermitage ci è parso alquanto penalizzante. Almeno per il vino visto che comunque si tratta non di un Premier Cru ma di una Appelation Village. Vabbè, stiamo alle regole e proseguiamo. Due parole su Jean Marc Roulot. Sapete che uno dei migliori interpreti dello Chardonnay in Borgogna è anche un affermato attore di cinema e teatro? Adesso sì. Possiamo affermare che le sue doti estro-artistiche le ha messe al servizio del vino, al fine di farne un prodotto di eccellenza? Roulot, così come gli altri interpreti di questa associazione, considera che tutta la filiera, dalla potatura fino all’imbottigliamento e che ha come risultato ciò che noi possiamo apprezzare nel bicchiere, sia il più naturale possibile. Che dire di questo Tillets oltre a quanto già constatato, che parlando di consistenza, sicuramente mantiene il distacco con gli altri prodotti aziendali, mantenendo una sua solidità ed una linearità ben precise. Purtroppo il legno in questo caso segna il passo, limitandone l’eleganza e coprendo quelle che sono le sfumature che renderebbero molto più agevole la beva con il risultato di mostrarsi un po’ seduto ed energizzato soltanto da una buona spalla acida.
Conclusioni.
In conclusione vorrei sottolineare che lo scorso dicembre c’è stata una grande degustazione a Parigi con tutti i produttori dell’Union e alla quale hanno partecipato più di 800 persone tra giornalisti, ristoratori, sommelier e tanta gente comune. Questo per rimarcare, se mai ce ne fosse bisogno, che è in continua crescita, da parte di tutti, la “sete” per QUESTE tipologie di vino e tali fruitori sono un esercito in aumento e hanno voglia di gridare ad alta voce come questi interpreti della naturalità, rappresentino sempre più il futuro del vino.
Di seguito l’elenco di tutti i produttori e le relative denominazioni:
Philippe Alliet – AOC Chinon
Eric Bordelet – AOC Sydre et Poiré de Normandie-Calvados
Philippe Charlopin – AOC Gevrey-Chambertin
Pierre-Marie et Martine Chermette – AOC Beaujolais Fleurie & Moulin à Vent
François Chidaine – AOC Montlouis & Vouvray
John et Véronique Cochran – AOC Côtes de Bourg
Didier Dagueneau – AOC Blanc Fumé de Pouilly
Pascal Delbeck – AOC Saint Emilion Grand Cru
Paolo de Marchi – Chianti. Italia
Eloi Dürrbach D.ne de Trevallon – Vin de Pays
Nadi et Charlie Foucault – AOC Saumur-Champigny
Alain Graillot – AOC Crozes-Hermitage
Y et J.R Hegoburu D.ne de Souch – AOC Jurançon
Christian et Marc Imbert – AOC Corse-Porte Vecchio
Olivier Jullien – AOC Coteaux du Languedoc
Marc Kreydenweiss – AOC Alsace et Costières de Nîmes
Alain Neyroud – Svizzera
Marc Pagès – AOC Médoc Cru Bourgeois Supérieur
Christophe Peyrus – AOC Coteaux du Languedoc
Robert et Bernard Plageoles – AOC Gaillac
Jacques Puffeney – AOC Arbois
Thérèse et Michel Riousspeyrous – AOC Irouléguy
Jean-Marc Roulot – AOC Meursault
Corinne et Anselme Selosse – AOC Champagne
Aldo Vajra – Barolo. Italia
Ivano Antonini alias EnoCentrico