Dopo l’Alto-Adige, passiamo in Piemonte con il racconto delle aziende visitate e dei vini degustati.
Prima una descrizione veloce delle annate in generale. La 2006 si sta’ rilevando una grande annata, anche se i vini dell’annata più giovane erano pochi, quei pochi lasciano intravedere dei tratti di carattere e con un bel frutto in rilievo. La 2005 anch’essa presenta dei vini con lo stesso carattere ma con un frutto meno “polposo”, con una gustativa meno ricca ma più lineare. La 2004 e perlopiù trattasi dei Barbaresco degustati, non hanno deluso le aspettative in quanto parliamo di una grande annata, ma alcune delusioni le abbiamo avute su alcuni Barbaresco considerati “grandi” ma che vedremo poi nello specifico. Per i 2003 e trattasi questa volta dei Barolo degustati, non vorrei ripetermi ancora. Come detto anche da più voci si è parlato di come un’annata calda come questa 2003 abbia inciso non tanto sulla barbera, ma sul vitigno nebbiolo. Per esempio, se molti produttori in un’annata come la 2002 hanno scelto la strada di unificare i cru e produrre un solo Barolo, non capisco come lo stesso non sia stato fatto anche nella 2003. Una strada scelta da pochi, vedi Massolino.
Ma veniamo al racconto…
La prima azienda è la Tenuta San Pietro che si trova a Tassarolo, nel cuore della denominazione del Gavi. E’ una tenuta che sta’ rivivendo una seconda giovinezza a partire con l’annata 2004 e dove ha trovato la sua consacrazione con i due 2006 presentati. Il Gavi “San Pietro” 2006 (15,5/20) si presenta corretto, di buona bevibilità, ma non chiedetegli nulla sul piano del peso. Chiedetelo piuttosto al Gavi “Il Mandorlo” 2006 (15,5+/20) con un breve passaggio affinatore nei legni piccoli e che si presenta sempre come un Gavi corretto, tecnicamente ben fatto, di maggiore carattere rispetto al “San Pietro”, ma non ancora pronto sul piano dell’equilibrio. L’azienda produce anche due vini che non sono stati presentati ma che ho già assaggiato e che vale la pena seguire con le prossime annate. Due cru provenienti da vigne vecchie non ancora innestate, un Gavi La Gorrina con fermentazione ed invecchiamento (vale proprio la pena di dirlo perché lo vedrei meglio più slanciato e meno appesantito dal legno) in barrique ed un rosso V.d.T. chiamato Orma Romea ottenuto da uve Nibiò, un tipo di dolcetto a graspo rosso.
Si prosegue con la Bruno Rocca-Rabajà, i vini rappresentati erano il Langhe Rosso Rabajolo 2004 (17/20) ben fatto, dove per la prima volta trovo finalmente un’incisività meno marcata data dal Cabernet Sauvignon e quindi un maggiore equilibrio. Il Barbaresco 2004 (17,5/20) è un vino dai toni più delicati, sul piano tannico anche più incisivo e con una chiusura di buona eleganza che lo colloca ad un piano superiore rispetto al Rabajà (sì avete capito bene). Il Barbaresco Rabajà 2004 (17,5-/20) non che non sia buono, tutt’altro, ma si presenta con un frutto meno croccante, una nota data dal legno più invasiva ed un tannino più crudo. Caratteristiche che non credo che il tempo possa smussare.
Passiamo ora alla Tenuta Cisa Asinari dei Marchesi di Gresy. Come spesso sottolineato, molte volto trovo che i vini assumono il carattere di chi li produce e che nel bicchiere troviate i toni caricaturali del produttore. E quindi…se vi dicessi che il Marchese Alberto Cisa Asinari di Gresy è una delle persone di gran classe, signorilità e di eleganza ma tutt’altro che snob? Come li troverete i suoi vini? Risposta esatta! Anzi aggiungerei che i suoi vini ne acquisiscono anche i toni molto socievole/amichevole e “ascoltando” il bicchiere sentirete che i vini sono nati da una passione non sempre facile da trovare. I vini presentati erano il Langhe Bianco 2006 (16+/20) da uve Sauvignon dotato di grinta e carattere inusuali per questo vitigno ed in questa zona, la Barbera d’Asti 2006 (15,5+/20) in anteprima, il segno più è dato da una maggiore sostanza e da un frutto più marcato rispetto alla 2005. Il Barbaresco Martinenga 2004 (17/20) merita un discorso a parte, perché il Martinenga viene quasi sempre degustato come capro espiatorio di quello che potrebbero essere poi il Gajun ed il Camp Gros di pari annata. Ora per chi non ha mai visto il vigneto della Martinenga deve sapere che si trova in una delle posizioni più belle della denominazione, posizione anche invidiabile dove il terreno da’ origine a vini spesso difficili da apprezzare nell’immediato. Questo è già di suo un cru, ma in questo appezzamento ci sono due zone ben distinte e che danno nebbioli profondamente diversi soprattutto sul piano dei tannini, Così le due sottozone Gajun e Camp Gros danno vini che subiscono un affinamento diverso ed escono un anno più tardi. Non presente il Camp Gros affinato totalmente in botti grandi, è stato presentato il Barbaresco Gajun 2003 (17,5/20) affinato in parte in legni piccoli. Il vigneto della Martinenga è molto ventilato, caratteristica molto importante in annate tipo questa, in più le vigne vecchie hanno dato origine ad un vino certamente diverso dal 2001, ma non così “stanco” nella freschezza e nei tannini anche se, tutto sommato confrontandolo con il Martinenga 2004 viene evidenziata la diversa caratura data dall’annata.
Restiamo nel comune di Barbaresco e parliamo dei Produttori del Barbaresco i cui vini sono riconosciuti per essere dei validi esempi di cosa ci dovremmo aspettare da una cantina sociale. Ovvero vini di valore e con un occhio di riguardo al prezzo rapportato alla qualità prodotta. Il Barbaresco “base” è stato assaggiato nelle versioni 2004 (16,5/20) e 2003 (16/20), inutile sottolineare di nuovo la diversità delle due annate anche se la 2003 è da apprezzare per la sua immediatezza e piacevolezza di beva mentre il 2004 evidenzia ancora dei limiti nella sua NON forma ottimale in questo momento. Infine il Barbaresco Riserva Ovello 2001 (18/20) è uno splendido esempio di come issare la 2001 tra il firmamento delle annate migliori di questa azienda.
Ci spostiamo adesso da Icardi, azienda già recensita su queste pagine, che ha presentato il Pafoj bianco 2006 (17/20) ottenuto da 60% Sauvignon e 40% Chardonnay che rispetto alla pur buona versione 2005 troviamo maggior sostanza, maggior eleganza ed un pizzico minore di “dolcezza” che lo rende molto meno “ruffiano” e più slanciato nella beva. Due barbere, prima la Barbera d’Alba Surì di Mu 2004 (16/20) tecnicamente ben fatta e di bella eleganza e la Barbera d’Asti Nuj Suj 2005 (16-/20) anch’essa ben fatta ma di più difficile comprensione sul piano dell’equilibrio in questo momento. Il Pafoj Rosso 2005 (17/20) presenta con questa annata un cambiamento di marcia per questo vino. Non più il Nebbiolo tutto frutto degli anni passati ma un vino con maggiore spessore e una complessità più marcata.
L’azienda Sottimano sta’ sempre più acquisendo valore, e troviamo conferma nella batteria presentata. La Barbera d’Alba Pairolero 2005 (17/20) di minor peso rispetto alla 2004 ma con maggiore eleganza di frutto ed un tannino decisamente più incisivo. Il Langhe Nebbiolo 2005 (16/20) rappresenta per me il vino di minor appeal tra quelli prodotti da Rino e Andrea Sottimano, ma da apprezzare per la sua eleganza, per la sua bevibilità e non ultimo il prezzo interessante. Due dei cru presentati, entrambi del 2004 il Barbaresco Cottà 2004 (18/20) risulta più sottile e più intrigante, mentre il Barbaresco Fausoni 2004 (18,5/20) personalmente è il mio preferito, potenza ed eleganza e con un tannino minuto e graffiante. Una delle migliori riuscite!
Un’altra azienda di Barbaresco che mi sta’ a cuore è la Albino Rocca condotta con maestria da Angelo Rocca e la sua compagna Barbara, (ma di questo ne parleremo prossimamente e ampliamente) inutile dire che i suoi Barbaresco 2004 hanno mantenuto le aspettative. Prima però ci degustiamo la Barbera d’Alba 2005 (16/20) di immediata piacevolezza e di grande bevibilità, il Barbaresco Loreto 2004 (19/20) affinato in sole botti grandi, si colloca in cima alla mia top selection di questa azienda insieme al Loreto 1996, su un gradino più in basso si colloca l’altro cru aziendale ovvero il Barbaresco Brich Ronchi 2004 (18,5+/20) affinato in parte in barriques per essere comunque molto buono ma meno graffiante del Loreto. Ma è solo una questione di gusti.
Passiamo a Monforte d’Alba prima da Elio Grasso, una delle più belle tenute del comprensorio del Barolo e a seguire Elio in cantina, da diversi anni c’è il figlio Gianluca. Presentate la Barbera d’Alba Vigna Martina 2005 (17/20), che di questa denominazione è uno dei punti di riferimento, quello che mi è piaciuto è la sensazione pseudo-calorica in bocca più smorzata del tenore alcolico, rispetto alle altre annate. Degustati anche i due cru storici di Barolo di Elio Grasso con una leggera preferenza per il Barolo Ginestra Casa Matè 2003 (18+/20), solido, dotato di un frutto croccante e di una nota balsamica inusuale per l’annata rispetto al Barolo Gavarini Chiniera 2003 (18/20) che presenta in chiusura un tannino più asciutto.
Ci spostiamo da Conterno-Fantino, azienda anch’essa già recensita. Guido Fantino ci ha fatto assaggiare la Barbera d’Alba Vignota 2006 (16/20), con uno spessore più marcato della 2005 e con un frutto più polposo. Poi ha presentato le annate nuove incominciando dal Langhe Rosso Monprà 2005 (17,5/20) meno solido rispetto all’annata precedente e più lineare, seguito dal Barolo Sorì Ginestra 2004 (18,5+/20), che si presenta subito con una materia prima importante, ma come la maggior parte delle annate di questo cru, necessita di una importante ossigenazione prima di concedersi, infine la novità che in molti aspettavano è data dal Barolo Mosconi 2004 (18,5?/20) dotato anch’esso di una grande materia prima, più aperto e più espressivo del Ginestra ma che preferisco tenere a freno gli entusiasmi ed aspettare prima di sbilanciarmi sul giudizio finale.
Chiudiamo questa prima parte con una delle aziende da seguire per i suoi continui miglioramenti qualitativi di anno in anno. Parliamo dell’azienda Piero Busso di Neive.
Ha presentato il Barbaresco Borgese 2004 (17,5/20) dove si denota la sua ricchezza di base ma che segue una fase di involuzione in questo momento data da una chiusura olfattiva che frena il giudizio, mentre il Barbaresco San Stefanetto 2004 (18/20) risulta più graffiante ed espressivo.
A seguire…
Ivano Antonini alias EnoCentrico